Cartina geografica della lombardia – Musei Vaticani
E’ nascosta nel suo nome originale, Celiverghe, la storia del paese. Fino agli inizi del 1800, infatti, questa è stata l’esatta grafia della località, così come l’abbiamo appresa dai documenti che vanno dalle polizze d’estimo del 1500 ai manoscritti del 1700, per arrivare ad un documento del 1790, riportante lo stemma del Comune, dove appare la scritta Comunità di Celiverghe.
Il paese, infatti, si è sviluppato attorno ad una collina, chiamata ancor oggi Monte Coeli Aperti, che si innalzava “a cielo aperto” dalla brughiera e dalle paludi circostanti. Su quella si è creato il nucleo antico del paese, tant’è che su molte carte geografiche del XIV e XV secolo è riportato solo l’indicazione del Monte Coeli Aperti. Ai suoi piedi, quello che diventerà il futuro abitato, che, per il momento, era incolto, ossia “a vegher”: sopra i cieli (coeli, celi) e sotto i vegher.
Soltanto tra il XV e il XVI secolo inizia l’opera di bonifica, sulla scia di molte altre che si sono succedute in quel periodo. Fondamentale è stata la presenza della roggia Mazzanesca e dei suoi cinque rami (Nasetto o Lana, Scale, Molinetta o Catella, Bettole a sera e Bettole a mattina) che portavano l’acqua del Naviglio all’attuale Molinetto (allora campagna di Mazzano) e all’attuale Ciliverghe (allora campagna di Virle). Ed è proprio in queste due località che possiamo notare una conformazione urbanistica razionale, sviluppatesi in ordinati incolonnamenti (i colonnelli), segnati da strade parallele che ancora oggi caratterizzano la parte orientale di Molinetto e l’intero Ciliverghe.
In quest’ultima località, ai lati di tre di queste strade sono state costruite le prime case che, sviluppatesi via via, daranno inizio ad altrettante contrade, chiamate, senza molto sforzo di fantasia, prima, seconda e terza contrada. Ad esse di aggiungeva un’altra piccola borgata, quella del Gioiello, così chiamata dal soprannome del principale nucleo abitativo di quel borgo, i Giovielli.
Questi terreni incolti vennero bonificati dagli abitanti del luogo, gli originari, e, sulla base di atti notarili, suddivisi fra di loro con tanto di regolamento.
Il paese, però, rimaneva pur sempre campagna di Virle e per ogni funzione religiosa gli abitanti dovevano percorrere una lunga distanza. Non che non ci fossero chiese. Ve n’era una sul Monte, di proprietà Appiani, della cui esistenza si ha notizia da una polizza d’estimo del 1517, cui si aggiungerà, nel 1624, una seconda, sempre privata, appartenente alla famiglia Maggi, nella casa padronale denominata San Carlo (ossia comprendente l’ala orientale della futura villa Mazzuchelli).
Ed è attorno alla metà del 1700 che i Ciliverghesi si staccano da Virle. Altrove racconteremo le vicende, che assumeranno toni drammatici e spassosi nello stesso tempo. Aiutati dal potente conte Giammaria Mazzuchelli, la cui famiglia si era stabilita a Ciliverghe nel 1722 e proprio in quegli anni stava concludendo la costruzione dell’omonima villa, il paese conseguì dapprima l’autonomia politica, nel 1755, poi quella religiosa, nel 1757.
Nella suddivisione, la borgata delle Bettole venne assegnata a Ciliverghe.
La chiesa già c’era, si iniziò a costruirla nel 1680.
Il disegno, opera di Luca Serena, si basava sulla tipica costruzione a croce latina, di stampo neoclassico, voluta dal Concilio tridentino: un altare centrale e due laterali, dedicati, rispettivamente, alla Madonna del Rosario e al Sacro Cuore.
Durante il periodo napoleonico, Ciliverghe fece parte, per un paio d’anni, del Comune di Mazzano, riacquistando, però, la propria autonomia nel 1815.
Preludio di un’ulteriore e definiva aggregazione a Mazzano avvenuta nel 1929.