È rimasto nascosto per mezzo secolo, fino a quando, per una di quelle circostanze imponderabili, è riemerso alla luce portando con sé, questa volta, non più acqua, ma un carico di ricordi.
Grazie al fondamentale aiuto dei signori Rosi e Narciso Massardi, ho potuto approfittare di questa riscoperta per approfondire un aspetto basilare del passato, ovvero l’approvvigionamento dell’acqua potabile.
Il pozzo della piazza era pubblico ed è rimasto in funzione ancora per qualche anno dopo la guerra. Poi, al suo posto, fu installata una fontana. E questa la ricordo anch’io.
Dalla sua nascita (ma qui, onestamente, non sappiamo dire quando) funzionava come tutti i pozzi normali: un cilindro di legno attorno al quale si avvolgeva la corda, con il gancio per il secchio. Negli ultimi tempi, però, il secchio non si calava più, ma si faceva girare attorno ad una carrucola una corda, alla quale erano appesi recipienti che pescavano acqua e che la riversavano nel secchio appeso ad un gancio.
Il pozzo della piazza, naturalmente, era a disposizione di tutti, anche se gli abitanti della zona, ricorda la signora Rosi, preferivano rifornirsi al pozzo di casa sua, nella cascina Benedetti, perché l’acqua, lì, era più buona. Per sdebitarsi, quando era l’ora del scarfoi, andavano tutti sotto il portico a dare una mano alla sua famiglia.
Ma com’era la situazione nel resto del paese?
Insieme, abbiamo cercato di ricostruire una mappa dei principali pozzi, pubblici e privati, di Ciliverghe. Forse qualcosa abbiamo tralasciato, nonostante la memoria del signor Narciso sia davvero invidiabile.
Alla Seriola c’era un pozzo pubblico sulla strada, appena dopo la casa di Terraroli (Enci), al borgo ve n’era uno privato, dai Romano, poi si arrivava in fondo al Monte, dove c’era quello degli Spazzini, ovviamente privato.
Nella seconda contrada avevamo un pozzo privato, al borgo Caldana, e uno pubblico posto tra gli Agliardi e i Toninelli, mentre per quelli di Villa Mazzuchelli il pozzo si trovava in cantina.
Il Gioiello ne era sprovvisto e, ricorda il signor Massardi, fu grazie all’allora sindaco di Ciliverghe, il Coela, che si ottenne che gli abitanti del borgo potessero attingere al pozzo della ferrovia, quello alle Stanghe. Sempre in quella zona c’erano altri due pozzi privati, dai Mazzoldi e dagli Ugoletti.
Era pubblico, invece, quello posto al Lazzaretto, nella piazzuola, mentre all’altro passaggio a livello, quello che adesso è stato soppresso e che una volta era chiamato el casel de Signurì, vi era un altro pozzo, di proprietà della ferrovia, per il casellante.
Infine, la Rezzadella, che serviva anche i Finiletti.
Per la gente delle Bettole, invece, c’era un pozzo pubblico nella rientranza di Calmaggi e uno privato, antichissimo, all’interno della trattoria.
Questo, addirittura, porta ancora sulla pietra il segno del trimonzio, ovvero tre monti, sormontati da tre croci, che simboleggiavano i tre voti di castità, povertà e obbedienza, per ricordare l’origine benedettina dell’edificio; ai lati, due C ricordano che poi l’edificio divenne proprietà della Comunità di Ciliverghe.
Questi due pozzi, però, sono legati anche a vicende… storiche, sia pure assai diverse.
A quello della trattoria si dissetò il futuro imperatore d’Austria Giuseppe II, nel 1769, quando sostò nel suo viaggio di ritorno da Napoli (la cronaca è riportata in uno dei miei libri).
A quello pubblico, più modestamente si dissetava Cecchino quando faceva il cascamorto con le ragazze della contrada (e qui la cronaca l’ha riportata lui stesso nel suo libro autobiografico)
D’altra parte, a che altro servivano, sennò, i pozzi?

Danilo Agliardi