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La chiesetta dei “Caldana” e l’anima vagante del prete Luigi

Il Borgo Caldana oggi con la ex chiesa di San Vincenzo

Quando si fa testamento, non si dovrebbe mai complicare troppo la vita ai beneficati con clausole macchinose: si corre il rischio di ricevere, anzichè ringraziamenti, un sacco di accidenti, sia pure alla memoria.
Se poi, per di più, la contropartita richiesta è il suffragio della nostra anima, affinchè con l’aiuto di quelli di qua si riesca a piazzarla meglio di là, corriamo il rischio di vederla vagare a lungo fra gli eterei meandri del Purgatorio senza che dall’ingrata Terra giunga il minimo segno di soccorso.
Sembra che sia stato proprio questo il destino toccato alla buon’anima di un prete della famiglia Caldana, Luigi, appunto.
Ma andiamo con ordine.
Quella che ancor oggi la tradizione popolare indica come l’ex chiesetta dei Caldana apparteneva, nel 1700, insieme con l’omonimo borgo, ad una ricca famiglia cittadina, quella dei Camozzi.
Nel 1748, costoro chiedono alla Curia il permesso di costruire un oratorio adiacente alla villa di campagna. Allegano alla richiesta un progetto e già indicano il nome del santo cui verrà dedicato: San Vincenzo Ferrer.
Sarà questa la quarta chiesa del paese, dopo quella degli Appiani, sul Monte, dei Mazzuchelli (non l’attuale di Santa Cristina, ma quella di San Carlo) e la parrocchiale, la cui costruzione era avvenuta solo mezzo secolo prima.
Nel 1772 la villa, chiesetta compresa, viene acquistata dalla famiglia Caldana.
Si sa che ognuno ha il proprio santo e ciò vale anche per i nuovi proprietari: da una relazione del parroco, veniamo a sapere che l’oratorio è ora sotto il nome di San Luigi. Ma non per molto. Nel 1817, durante la visita pastorale, il vescovo Gabrio Nava lo cita sotto il nome di oratorio della Santissima Vergine del Rosario.
Nel 1834 entra in scena in nostro don Luigi, di cui abbiamo parlato all’inizio. Per la verità, più che un’entrata, la sua è stata… un’uscita di scena.
Costui, morendo nel giugno di quell’anno, aveva lasciato metà casa ai nipoti e l’altra metà alla fabbriceria di Ciliverghe. Con due clausole. La prima, per cui i fabbricieri avrebbero dovuto far celebrare tre Messe annuali, in perpetuo, per la salvezza della sua anima. E fin qui, nulla di strano. L’inghippo doveva venire con la seconda: la metà della casa toccata alla fabbriceria avrebbe dovuto essere abitata solo ed esclusivamente da un religioso, fosse esso il parroco, un cappellano o un semplice coadiutore.
Lì per lì, la fabbriceria non si rese conto della complicazione, ma presto dovette constatare quanto fosse difficile convincere un sacerdote a trasferirsi in seconda contrada: troppa distanza dalla parrocchiale, troppe scomodità.
Da parte loro, gli eredi Caldana, che non avevano digerito molto bene l’aver dovuto dividere l’eredità con la fabbriceria, sono decisi a non concedere sconti: o l’inquilino è un religioso oppure non se ne fa nulla.
Anzi, visto che il tempo passava senza che l’obbligo della Messe venisse assolto, richiamano la fabbriceria al rispetto degli accordi.
I fabbricieri, da parte loro, non se la sentivano di sborsare denaro per le Messe senza aver potuto ancora disporre del legato.
E intanto, l’anima del prete Luigi aspettava…
Finalmente, nel marzo 1852, dopo ben diciott’anni di litigi, un cappellano, Angelo Rosa, accetta di trasferirsi nella porzione di casa Caldana. Ma non gratis et amore Dei: chiede, come contropartita, l’aumento di 48 lire dell’assegno annuale ed una ristrutturazione decente dell’edificio. I fabbricieri, fatti due conti, rinunciano. Non tanto per la cifra in sè (che pur avrebbe inciso notevolmente sulle disastrate casse dell’ente), quanto perchè temevano che il cappellano, alla prima occasione, se ne andasse da un’altra parte, dove avrebbero offerto condizioni migliori, correndo così il rischio, dopo aver sborsato soldi per la ristrutturazione, di lasciare l’edificio vuoto perchè nessun altro voleva entrarci.
E videro bene. Nel dicembre dello stesso anno, infatti, il Rosa abbandona il paese perchè ha trovato una migliore sistemazione presso la Casa di Dio, a Brescia. Ci sono, poi, altri tentativi per convincere i cappellani successori a dimorare nel borgo Caldana, ma non se ne viene a capo di nulla.
Nel 1853, la svolta.
Gli eredi Caldana, fra cui un altro prete, anche lui Luigi di nome, offrono alla fabbriceria 400 lire in cambio della cessione della sua metà casa. Tra valutazioni, perizie e controperizie (e parcelle non pagate agli agrimensori…) si arriva al 1857. La fabbriceria accetta la somma offerta a suo tempo dai Caldana. A spingere i fabbricieri all’accettazione, fu soprattutto la necessità di dare un acconto a quel povero disgraziato di muratore, un certo Bonizzardi di Goglione (l’odierno Prevalle), che stava costruendo il nuovo cimitero e che ancora non aveva visto il becco di un quattrino (5). Per la verità, qualcosa aveva racimolato un paio di mesi prima, quando la fabbriceria mise all’asta la biancheria donata da una donna del paese, Marta Montini, morta da poco: si portò via dei fazzoletti di seta, una coperta di filo, un lenzuolo e, quando il cassettone fu vuotato, si portò via pure quello per darlo in dote alla figlia. Totale della merce, 72 lire e cinquanta centesimi. Se non altro, qualcosa si era assicurato. Ora, però, reclamava il contante e l’amministratore della fabbriceria non fece in tempo ad incassare il denaro dei Caldana, che già il Bonizzardi era sulla soglia ad aspettare.
Chissà se anche a quei tempi si diceva: ‘Passavo di qui per caso….’
Facile immaginare la felicità con la quale avrà fatto ritorno a Prevalle, ma in quel giorno non era il solo ad essere felice: più di tutti, lo era l’anima del povero prete Luigi la quale, finalmente, avrebbe potuto contare sulle spintarelle che quelli di qua le avrebbero dato con i suffragi.
Suffragi che, in base ai nuovi accordi, rimanevano sempre a carico della fabbriceria la quale, puntualmente, si dimenticava di pagare le tre Messe al nipote Caldana, don Luigi anch’egli, che le celebrava nell’oratorio di famiglia. Ma questi, puntualmente, da buon prete, non si faceva riguardi a batter cassa e, se la fabbriceria tardava, si rivolgeva direttamente alla Curia, come successe nel 1877, quando il vescovo comandò, imperiosamente, ai fabbricieri il rispetto degli accordi.
Fino alla fine del secolo i Caldana rimasero proprietari del borgo. Ne fanno fede le relazioni dei parroci fatte negli anni 1894 e 1897.
Agli inizi del secolo subentra la famiglia Romano che, insieme con la proprietà dei Caldana, ne rileva pure il soprannome. Non sappiamo come l’abbiano messa con i suffragi del prete Luigi. “Per il soprannome, passi – avran detto i Romano – ma per lo zio prete… questo tenetevelo, grazie!”.
Infatti, quando nel 1909 i fratelli Romano donano alla parrocchia i paramenti sacri e gli arredi della chiesetta, chiedono, come contropartita, che venga rispettata  ” la continuazione della festa della Vergine che annualmente celebrasi in una domenica di Ottobre nell’oratorio della Casa…”
La festa della Vergine era quella della Beata Vergine del Rosario, cui la chiesetta era dedicata. Nessun accenno ad eventuali Messe di suffragio.
E l’anima del prete Luigi? Chissà se le (poche) Messe di suffragio celebrate le sono bastate o se ancora sta vagando fra gli eterei meandri del Purgatorio espiando, oltre ai peccati, l’imprudenza di aver messo certe clausole al testamento…

Danilo Agliardi